Pochi avrebbero scommesso un centesimo, alla fine degli anni ’60, sul fatto che il “bel paese”, potesse accogliere sotto i riflettori dei propri palcoscenici, un genere teatrale di prevalente, se non del tutto esclusiva, matrice americana: Il Musical.
Poniamo, però, un preludio: il musical, così come oggi lo conosciamo, non è altro che una sorta di “miscela” dell’esperienza americana con quella europea e dunque, anche quella italiana, la quale in modo particolare, vive del proprio retaggio culturale strettamente legato all’Opera lirica.
In Italia, nei secoli passati, lo spettatore è stato abituato ad assistere sulle tavole teatrali, a spettacoli intrisi di significati nobili, di storie antiche e valorose, di eroi e personaggi resi famosi dalla storia, di drammi epici ed arie tenebrose e struggenti. Il musical, da oltre l’oceano, invece, raccontava di storie soffici, leggere, di spensieratezza e sorrisi di gente comune; quasi sempre con un ritmo incredibilmente più veloce rispetto a quello dell’Opera.
Forse per questa ragione, fra le pieghe del nostro stivale, abbiamo per decenni mal sopportato l’avvento di questo genere teatrale, seppur tremendamente popolare aldilà dei nostri confini.
E mentre dalla fine dell’800 fino agli anni del dopoguerra, negli USA, la gente adulava i protagonisti di capolavori come “Singin' in the rain”, “7 spose per 7 fratelli”, “West Side Story” e moltissimi altri ancora, noi italiani dormivamo sogni tranquilli sulle note del leggendario “Va Pensiero” di Giuseppe Verdi, ignari di tutto ciò.
Nonostante tutto, seppur lentamente, proprio in quegli anni il Musical comincia a fare capolino anche in Italia; come? con un abito più discreto, quasi a volersi parzialmente celare, per non scoprirsi del tutto: nasce la commedia musicale all’italiana.  Ne sono esempi validi alcune famose produzioni di Garinei & Giovannini come “Rugantino” e “Aggiungi un posto a tavola”. Gli sceneggiati sono caratterizzati da trame semplici, riguardanti gente comune e storie comuni; le melodie sono sincere ed orecchiabili, i testi, concepiti per arrivare allo spettatore di tutte le età ed estrazioni sociali.
Così, lo spettatore italiano disse per la prima volta la parola “Teatro musicale” e vide che era cosa buona, volendo parafrasare la Genesi biblica; e fu così, che cominciarono ad entrare finalmente nei teatri e nelle case italiane, anche tramite l’avvento del piccolo schermo, tutti i più grandi musical americani della tradizione e ci rimarranno in maniera esaltante almeno fino agli anni ’80. In particolare nei fantastici “Seventies“, assistiamo a meraviglie che hanno fatto cantare e ballare generazioni e generazioni; ricordiamo: “Grease”, “Hair”, “A Chorus Line”, “Cats”, “Jesus Christ Superstar” e sarebbe impossibile citarli tutti.
Anche in questo caso, lo spettatore italiano vide che tutto ciò era cosa buona e pensò: << perché non fare “nostro” tutto questo ben di Dio?>> Dunque, si assistette a partire dagli anni ’80 ad una vera e propria rivoluzione: l’Italia voleva ascoltare quelle storie che venivano da lontano, nella lingua di Dante Alighieri.
Nasce proprio in quegli anni, quella che resterà e resta tutt’ora, la più grande realtà di produzione nell’ambito del teatro musicale italiano: La Compagnia della Rancia.
La Compagnia della Rancia, fra le altre cose, traduce e adatta in lingua italiana, tutti i maggiori “best seller” americani in fatto di musical, rendendo così immensamente fruibile, un prodotto fino a quel momento oscuro ai più: è la svolta!!
Un altro incremento importante e massiccio, a livello mondiale, viene dato dalle grandi produzioni cinematografiche, che, adesso come non mai, continuano a invadere le macchine da presa con pellicole aventi un forte ascendente nei confronti del musical. Esempi di “musical movie”, quindi di film in stile musical, sono “The Nightmare before Christmas”, “Moulin Rouge”, “Il Fantasma dell’Opera”, “Burlesque” ed altri ancora. Una citazione anche per tutti i capolavori firmati Disney, che sempre di più, tendono a “musicalizzare” tutti i lungometraggi degli ultimi decenni; non a caso, è sempre più diffuso il fenomeno di adattamento teatrale dei prodotti cinematografici Disney, in particolar modo a Broadway nell’ultimo quarto di secolo abbiamo assistito a “rifacimenti” teatrali di film indimenticabili, come: “La Bella e la Bestia”, “Il Gobbo di Notre Dame” e “La Sirenetta”.
Ma torniamo a casa nostra…
Quindi, poi, cosa succede? Negli anni ’90 cosa accade in Italia? La risposta è: si ferma tutto, o quasi…
In realtà ne abbiamo forse abbastanza di adattarci a ciò che è stato scritto dagli altri, anche perché forse quella canzone che ci piaceva tanto in inglese, in italiano non è poi la stessa cosa! E allora? E allora l’autore italiano si mise al lavoro, provò a cimentarsi anche lui in questa cosa che riusciva così bene agli “Yankees” americani; con una sola differenza: vuole metterci un tocco italiano, qualcosa che renda il prodotto unico e riconoscibile.
Alla fine degli anni ’90, in particolare, Riccardo Cocciante, noto cantautore italiano, getta le basi per quella che sarà l’ennesima rivoluzione, ma stavolta totalmente Made in Italy: nasce l’opera popolare.
Notre Dame de Paris, ne è in assoluto il manifesto. La musica assume colori e sfumature che non si allontanano molto dalla tradizione operistica italiana, ma allo stesso tempo abbracciano la leggerezza e l’agilità delle produzioni oltreoceano. L’opera popolare affida quasi totalmente, lo svolgimento della propria trama alla musica; la prosa riveste un ruolo marginale all’interno di essa e le canzoni sono il veicolo principale per raggiungere lo spettatore. Particolare importanza, assume anche il ruolo della danza all’interno dello spettacolo, non a caso, gli spazi coreografici rappresentano una parte sostanziosa della messa in scena.
Da Notre Dame de Paris in poi, tutta in discesa! E’ il tripudio delle produzioni italiane nel teatro musicale!
Nello stesso momento si sviluppano nuove correnti di pensiero, c’è chi si avvicina di più all’opera e chi invece si avvicina di più al musical americano; chi decide di continuare quanto fatto negli anni ’60 da Garinei & Giovannini, chi si rifà a Riccardo Cocciante o chi ancora tenta strade innovative e sperimentali; il risultato è un vasto assortimento di produzioni che si differenziano per genere musicale, soggetto e struttura.
Meritevoli di cenno, sono lavori come: “Pinocchio Il Grande Musical”, “I Promessi Sposi”, “Peter Pan”, “Giulietta & Romeo”.

Grazie a questa esplosione produttiva, nasce anche da noi la figura del performer, artista “tuttofare” che comprende nel proprio bagaglio artistico le tre discipline fondamentali per il genere: canto, danza e recitazione. Non a caso, di pari passo, diventano sempre più diffuse le nascite di scuole o accademie per la formazione del performer da Musical!
Occore fare però una precisazione; è più corretto probabilmente, parlare di “performer” solo e soltanto nell’ambito del musical vero e proprio; infatti nelle produzioni di opera popolare, spesso, è più facile trovare figure come i cantanti-attori o i ballerini-attori, ovvero artisti che non siano necessariamente formati su tutte e tre le discipline fondamentali che il musical, invece, richiede.
Ciò deriva dal fatto, che fino a questo momento, in maniera prevalente, le parti coreografiche di una certa difficoltà e rilevanza, vengono affidate ad elementi del corpo di ballo o di un ensemble danzante; più raramente al cantante-attore protagonista di un’opera popolare, viene richiesto di prenderne parte, ma ultimamente questo trend sembra si stia lentamente modificando.
Concludendo, in dirittura d’arrivo, in questo viaggio irto di ostacoli e deviazioni, il Musical acquista finalmente anche la residenza italiana. Ormai, negli anni 2010, si può considerare una vivida realtà del panorama artistico italiano e continua ad essere in ascesa nei nostri teatri, nei nostri cuori e nelle nostre ambizioni.

Salvatore Mercurio